Petrolio: dalle guerre al clima, la fonte energetica che incendia il mondo


Petrolio è stato l’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini – celebriamo in questi giorni il centenario della nascita – appena ristampato da Garzanti in una nuova edizione curata da Walter Siti. In Petrolio l’intellettuale friulano parla di un potere, con chiaro riferimento all’ENI, che da nazionale ed economico diventava internazionale e finanziario. Dal Dopoguerra il “petrolio” non è più solo un carburante, bensì il motore stesso del sistema capitalista e della società dei consumi.
Il petrolio, come tutte le fonti fossili peraltro, è il maggior responsabile del surriscaldamento climatico e gli scienziati avvertono che bisogna fermare l’estrazione per ridurre le emissioni in atmosfera. Inoltre esso è praticamente da sempre causa di guerre e instabilità politica.
No blood for oil era lo slogan del movimento pacifista mondiale nel 2003 che si opponeva all’aggressione militare USA in Iraq, ma anche nell’ultima guerra del “nuovo ordine globale” possiamo ravvisare connessioni. Mi sto ovviamente riferendo all’Ucraina. Come ha scritto Naomi Klein su The Intercept, “la guerra è colpa anche di un modello superato, legato allo sfruttamento del petrolio e del gas. Per uscire dalla crisi serve un salto in avanti”.
Il 28 febbraio è uscito il 6° rapporto dell’IPCC.
Pochi sanno che negli anni ’80 proprio le grandi compagnie petrolifere americane avevano scoperto una correlazione tra gli effetti della loro attività e il cambiamento climatico. Ovviamente ai loro ricercatori fu chiesto di tacere ma oggi, grazie alle varie inchieste indipendenti e governative, sappiamo che in tempi non sospetti erano già al corrente che le emissioni di anidride carbonica fossero climalteranti.
Ventisei Conferenze ONU delle Parti – COP dopo, passando per il Protocollo di Kyoto e gli Accordi di Parigi, arriviamo all’attualità del momento. Quattro giorni dopo l’inizio della guerra di invasione russa di Putin, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico ha pubblicato la seconda parte del suo ultimo report. Le notizie sull’Ucraina hanno oscurato questa notizia, soprattutto le conclusioni tratte. È stato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che ne ha restituito la gravità definendole <<un atlante della sofferenza umana un atto d’accusa contro il fallimento delle politiche sul clima>>.
La guerra in Ucraina.
Tra gli attori in gioco nel nuovo conflitto in Europa, tutti sono energivori e consumatori di materie prime da fonti fossili, sia che consideriamo i paesi dell’alleanza NATO che la Cina. E il petrolio, insieme al gas, costituisce l’essenza delle esportazioni della Russia, in pratica Vladimir Putin sta finanziando la sua guerra con queste. Staccarsi dalla dipendenza dei fossili per l’Unione Europea sarebbe stata una mossa da prendere in considerazione 20 anni fa, non lo scorso weekend con il summit di Versailles.
Poi il discorso delle sanzioni è complesso e non è questa la sede per trattarlo (la Russia è pure il primo esportatore di grano – fondamentale per l’alimentazione di un variegato numero di paesi del Medio Oriente e dell’Africa – e di alluminio “green”, necessario per il solare e l’eolico della transizione ecologica). Quello che mi preme sottolineare è che la guerra ha ridato fiato alla lobby del petrolio, rimettendo sui tavoli dei politici tutti i progetti di nuova estrazione fatti accantonare dai movimenti per il clima negli ultimi anni. Joe Biden ha bloccato l’importazione di greggio dalla Russia, copriva solo l’8% del fabbisogno americano ma era una percentuale crescente.
Questo significa che se la macchina da guerra di Putin si alimenta con la vendita del petrolio, la soluzione degli americani è chiedere all’OPEC di aumentare la produzione. Se dall’Arabia Saudita al Venezuela non hanno intenzione di farlo la soluzione potrebbe essere trivellare in Artico? Quattro mesi dopo la conferenza COP26 il clima è retrocesso di nuovo nelle priorità. Anche John Kerry, molto attivo ai negoziati di Glasgow, ha detto che non è una contraddizione aumentare adesso la produzione di petrolio e gas nel breve termine per rimpiazzare le forniture energetiche dalla Russia. Per capire a quanto ammontano per i paesi dell’Unione Europea basta dare un’occhiata a questo sito:
https://beyond-coal.eu/russian-fossil-fuel-tracker/
Nello scorso decennio il basso prezzo delle quotazioni e gli alti costi di estrazione avevano fatto accantonare molti progetti. Adesso, con il conflitto in Ucraina, “l’oro nero” è tornato a superare i 100 dollari al barile, una quotazione che non si vedeva dal 2014, e l’industria petrolifera è tentata di riconsiderarli.
Sarebbe la seconda follia di stampo novecentesco, dopo la guerra, appunto.
Cover photo via Flickr: Alaska Oil Pipeline © Malcolm Manners
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