La crisi energetica e il fallimento del nucleare in Italia
La guerra in Ucraina ha dato ossigeno ai sostenitori del nucleare in Italia. Un club esclusivo – comprendente anche alcuni politici – che vedono nell’atomo una soluzione alternativa all’approvvigionamento di gas dalla Russia.


Per completezza ne abbiamo sentite anche di peggiori. Ad esempio il premier Mario Draghi ha chiesto a SNAM la fattibilità di rimettere temporaneamente in sesto le centrali a carbone, ultima spiaggia se Putin dovesse chiudere i rubinetti e lasciarci al freddo il prossimo inverno. Insomma, questa transizione ecologica, con maggiore investimento nelle energie rinnovabili, proprio ci risulta insormontabile.
Ma come facciamo a tornare al nucleare quando ancora non abbiamo deciso come mettere in sicurezza le vecchie scorie della risibile esperienza del nucleare nel nostro Paese, mai realmente entrato in funzione? Stiamo parlando del materiale impoverito risultante delle quattro centrali da smantellare. Per molti anni abbiamo rinviato la decisione su come gestirle, ma adesso il problema è rilevante e non più procrastinabile perché ce lo ha chiesto l’Unione Europea. Sicuramente le scorie presenti in Italia non sono paragonabili per quantità a quelle di altre tipologie di rifiuti, ma sono purtroppo estremamente pericolose, dato che mantengono il loro potenziale nocivo per migliaia di anni. A questo annoso ritardo di dare una risposta alla Direttiva europea sta per sommarsi un altro problema: nel 2025 ci ritorneranno indietro i rifiuti nucleari che per anni l’Italia ha spedito in Francia e Gran Bretagna per il riprocessamento che ne riduce la radioattività. A quel punto, il nostro Paese dovrà avere un deposito nazionale adatto ad ospitare anche tutto questo materiale radioattivo di ritorno. Con una tempistica stimata in una decina d’anni per realizzarlo, essere pronti al 2025 è ormai fantascienza.
D’altra parte, dilemma da sottolineare, sono pochi i luoghi in Europa completamente sicuri per uno stoccaggio di scorie a tempo così lungo. Senza contare il corredo che occorre: barriere di contenimento adeguate, controlli di sicurezza e trattamenti inertizzanti molto costosi. Ma quello tecnico è paradossalmente il problema minore. Il geologo e divulgatore scientifico, Mario Tozzi ha osservato:
“Da un punto di vista puramente geologico, il problema non è insolubile: un sito deve essere geologicamente adatto, cioè non presentare elevato rischio sismico, né vulcanico né idrogeologico (alluvioni e frane). Località del genere sono molto rare in un Paese come l’Italia, ancora largamente attivo da un punto di vista geologico, ma, in linea teorica, non impossibili da individuare”.
Quindi, con riferimento all’aspetto tecnico delle opere di contenimento per la radioattività – le barriere ingegneristiche e l’inertizzazione dei rifiuti nucleari – questi nodi possono essere sciolti, è solo una questione di spesa. In conclusione, nel suo ragionamento, Tozzi sottolinea però che il problema sta altrove. Ovvero nel consenso popolare che la scelta di un sito di stoccaggio dovrebbe avere, e qui casca l’asino dato che gli italiani sono storicamente (e ribadito con due referendum) di sentimento anti-nucleare.
Quindi sarà difficile trovare un territorio che accetterà di buon grado la presenza di un bunker sotterraneo ad alto potenziale di rischio in cambio di una qualche compensazione economica. Certo, al momento non sono contenti i cittadini di Trino Vercellese, dove sono stoccate l’80% delle scorie italiane, ma anche l’ipotesi di trasferire materiale così pericoloso lungo l’Italia verso un altro sito di stoccaggio – tra i ben 67 individuati come potenziali “pattumiere nucleari” – non è molto sicuro.
E qui sorge una domanda importante: fino ad oggi in che stato sono queste scorie? Inoltre, fare un lavoro di mappatura di 67 potenziali siti per trovare il Deposito Nazionale inserendo anche zone d’Italia panoramiche e in piena natura, non è quantomeno azzardato?
Se il parametro per l’individuazione di questi siti è stato l’idoneità geologica, qualcuno si è dimenticato che il patrimonio naturalistico e storico – artistico di un Paese a vocazione turistica come il nostro è una questione imprescindibile. Il nucleare italiano ha prodotto più polemiche che energia.
cover photo: Nuclear @Mike Boening Photography