Gli immobili in Italia sono obsoleti, ma l’efficientamento è una chiave di sviluppo e non bisogna sprecare il PNRR


Il patrimonio immobiliare italiano è obsoleto, ovvero il 60% dei 12 milioni di edifici censiti è stato costruito prima degli anni Ottanta. Di questi, oltre 40% il ha più di 50 anni. Cosa significa in termini tecnici? Che si tratta di immobili in classe energetica F o G, quindi dalle prestazioni peggiori e da maggiori emissioni di CO2. Questo perché prima del famoso Superbonus, l’efficientamento energetico in Italia era un intervento raro da parte dei proprietari.
Ristrutturazioni e manutenzioni che anche quando venivano fatte raramente andavano ad incidere sull’impiantistica, come noi di Greenhaus abbiamo spesso lamentato con altri progettisti. Quanti progetti abbiamo visto dove pregavamo per convincere sull’opportunità di sostituire l’impianto a caldaia per passare a una più efficiente pompa di calore? Quante vecchie caldaie abbiamo visto sostituire con semplicemente una nuova “caldaia a condensazione”.
Non a caso in Francia la versione transalpina del superbonus non si accontenta di migliorare la classe energetica ma prescrive proprio di staccarsi dal gas!
A livello europeo ha fatto molto discutere la riforma della direttiva sull’efficienza energetica degli edifici per l’obiettivo -ambizioso, peraltro – delle emissioni pari a zero per gli immobili di nuova costruzione. Per quelli già esistenti il termine è il 2050 e ha scatenato le proteste del governo.
Nel nostro continente l’edilizia rappresenta una quota importante delle emissioni, ovvero il 36%, e dei consumi, il 40%. Su quel 40% dovremmo intervenire con una riqualificazione profonda, anche perché già oggi gli edifici poco efficienti stanno vedendo diminuire il loro valore economico, quindi non c’è bisogno di aspettare nessuna direttiva europea. A ciò possiamo aggiungere che pure gli insostenibili aiuti e bonus dalle finanze pubbliche per calmierare le bollette sono finiti.
Secondo una stima se la Direttiva europea sulle emissioni andrà in porto nel suo intento, la mannaia che calerà sul nostro vetusto patrimonio immobiliare sarà pesante ma, di contro, la quota degli edifici in classe A, pur triplicando, resterà bassa: dal 5% al 14%. In termini di consumi energetici è stimata in almeno il 7% di kWh/mq risparmiati, non il massimo se pensiamo che l’Unione Europea ambisce a ridurre del 55% le emissioni al 2030.
Ora, da progettisti, cosa dovremmo dire? Potremmo sottolineare sui costi del cambiamento climatico e del consumo delle fonti fossili, da cui la dipendenza dell’Italia è preoccupante. Ma andiamo al punto che più ci compete: l’Italia ha già le tecnologie e le soluzioni per agire nell’energivoro settore edile.
Il PNRR – occasione storica per riciclare progetti fino al 2020 sepolti nei cassetti delle amministrazioni pubbliche – prevede tra gli altri investimenti in gasdotti navi gasiere per comprare il gas liquido dagli americani e altre scelte novecentesche.
Più del superbonus, sfruttato molto da chi la casa ce l’ha già e non beneficiato dalle case popolari, più interessante sarebbe stato riqualificare con spesa strutturale il nostro patrimonio immobiliare. Fatto anche di tante scuole, tribunali e uffici pubblici fatiscenti. Usare la spesa pubblica in questa ottica avrebbe un senso perché significa tenere di conto le condizioni socio-economiche delle famiglie italiane che abitano in immobili in classi energetiche basse che spesso sono quelle con minori disponibilità finanziarie.
Il sogno della casa verde non è impossibile ma bisogna ripensare, riprogettare e costruire con criterio. È evidente che un orizzonte temporale al 2030 è molto stretto, ma peggio di non avere tempo è avere a disposizione una tecnologia e non sapere sfruttarla. Che in altre parole si legge avere le risorse e non spenderle bene.